“Twelve ee h s nine” un salto nel tempo in[finito] | In mostra al MAN di Nuoro : Olivo Barbieri –

Olivo Barbieri (particolare)

                                        di lycia mele ligios

“Le fotografie non servono a dimostrare un fatto, ma ad offrire una possibilità. […] La fotografia è la disciplina più vicina alla filosofia. Serve ad argomentare sulla percezione delle cose. E la realtà non è altro che percezione”

                                        Olivo Barbieri

Nuoro, 2 5  g i u g n o – “Twelve ee h s nine” sembrano “parole in libertà” di memoria futurista invece, definiscono il titolo originale e ricercato di una mostra esposta (nell’ultima programmazione) al Museo MAN – Museo d’Arte della Provincia di Nuoro – con sottotitolo “Dolmen e Menhir in Sardegna” di un affermato fotografo italiano: Olivo Barbieri.

Olivo Barbieri (particolare)

Olivo Barbieri,  Orroli 2021 | Courtesy of Museo MAN

Le “parole  in libertà” sono le ore 12, 3, 6, 9, di un orologio che ha catturato lo sguardo del fotografo,  rimasto colpito dalla loro bizzarra disposizione sotto un condizionatore.

Forse, un rimando concettuale al suo progetto espositivo: cogliere nella loro superba e primitiva bellezza elementi di pietra intrisi di storia, ora co[nge]l[a]ti / sottratti al fluire del tempo, privo di linee evolutive spazio-temporali, in cui l’istante si rappresenta nel suo esser-ci adesso.

Non c’è presenza dell’essere umano. Grande assente, viene percepito per le numerose testimonianze del suo operato.

Olivo Barbieri

Olivo Barbieri, emiliano di nascita, è uno tra i più celebri fotografi italiani.  Non avrebbe bisogno di presentazioni. Ma, voglio evidenziare alcune qualità che aiutano a capire nell’immediato la sua personalità curiosa, sensibile, introspettiva, poliedrica e raffinata. In una parola creativa.

Artista meticoloso e prolifico come dimostrano i numerosi progetti e collaborazioni intraprese. Per fare un esempio a soli 30 anni collaborava con un grande della fotografia italiana il mitico Luigi Ghirri.

Infinite le pubblicazioni prodotte che si riconoscono per le vesti grafiche: ricercate ed eleganti. Curioso del “mezzo meccanico” in modo irrefrenabile, tanto da inventare suggestivi esiti fotografici come il (geniale) focus selettivo, o gli innumerevoli studi sul colore dove riesce a ricreare originali rimandi a certa pittura espressionista (fauves).

Manifesta una sorta di inquietudine che si esprime nella libertà delle espressioni visuali, sempre alla  ricerca di nuove declinazioni per trasmettere nei fruitori nuove emozioni.  Innovativo sia negli studi sull’illuminazione artificiale, sia nell’utilizzo del disegno e nelle ricontestualizzazioni di opere pittoriche… I suoi lavori sorprendono come nuove epifanie di realtà. Apprezzato per i suoi lavori che riguardano non solo l’Italia, ma anche la Cina, l’India, l’America  e per le sue esperienze cinematografiche.

Olivo Barbieri Villaperuccio, 2021 | Courtesy of Museo MAN

 

La mostra del Museo MAN

La sua mostra al MAN di Nuoro, – su progetto della Fondazione Sardegna con la collaborazione del museo, a cura di Marco Delogu e Chiara Gatti, –  attribuisce inestimabile valore alla conoscenza e agli studi sulla identità culturale dell’isola.

In questo periodo storico segnato da pandemia, disastri ambientali, guerre, alienazioni sociali, il recupero di segni della storia potrebbe infondere più umanità. E su indicazione del filosofo Gianni Vattimo  “diventa umano la cura di ciò che è stato, dei residui, delle tracce del vissuto”.

Ed ecco una necessità come afferma Tonino Rocca, presidente del Museo, perseguire “un’indagine sul territorio, sulle tracce di un passato sopravvissuto e antropizzato dei luoghi.”

La Sardegna, nell’immaginario collettivo, è sempre stata  identificata con il nuraghe emblema della civiltà nuragica, ben visibile e documentato. A rafforzare ciò la comunità  internazionale dell’UNESCO  ha promosso (dopo l’accertamento di criteri rigorosi)  Patrimonio dell’Umanità il complesso nuragico di Barumini.

La presenza nell’isola di altri megaliti, – forse poco valorizzati, spesso confusi con pietre disposte accidentalmente sul terreno – e come questi abbiano orientato il gusto estetico degli abitanti, ispira il nuovo progetto sui dolmen e menhir.
Espressioni di architettura funeraria (risalenti al neolitico) che alludono a civiltà ben organizzate e con intensi rapporti commerciali.

I menhir, con la loro caratteristica forma di parallelepipedo, sono pietre disposte verticalmente nel terreno (in sardo pedras fittas),  mentre i dolmen elementi architettonici più strutturati a forma di pi greco π con una volta tra i due elementi impiantati.
Presenti  in varie zone della Sardegna, – oltre nell’area del Mediterraneo, con la  Corsica e la Francia, anche in Inghilterra, a dimostrazione della fitta rete di scambi tra le comunità, – spesso “protetti” da vegetazione, questi megaliti suscitano curiosità e interesse non solo alla comunità scientifica che li contestualizza e studia, ma anche a profani (come me) per quell’alone di mistero sui riti di sepoltura, e specialmente, secondo  alcune testimonianze della tradizione orale, per l’energia miracolosa che si sprigiona da queste pietre,  che sembra avere funzione terapeutica. 

Olivo Barbieri, Villa Sant’Antonio Oristano | Courtesy of Museo MAN

Le immagini rimandano  alla bellezza di luoghi incontaminati, soggetti alle leggi di una natura invasiva. Talvolta, il granito sembra  dipinto con “tratteggi”  di  licheni che ricoprono  la superficie della pietra e conferiscono quell’impronta unica che evoca  cromatismi  raffigurati da Arnold Böcklin in alcune sue opere. I colori appaiono ora tenui, ora più vividi per saturazione cromatica.  Spesso i megaliti sono nascosti tra la vegetazione, custode di quei luoghi.  Oppure, mancano idonee indicazioni esplicative.

L’immagine Fonni, 2021 sembra rappresentare un’installazione d’arte contemporanea forse un site-specific? o un’opera di Land Art, o ancora una tela astratta che racconta di mondi interiori legate a rinascite? Pur nel suo lieve accento geometrizzante é pura poesia con una natura che plasma l’unico cartello di legno con la sua irruenza dominatrice, mostrando la sua energia vitale che sovrasta quella umana. Elimina scritture. Ammutolisce chi osserva, ridefinendo il valore sacro del luogo preposto a meditazione e silenzio.

E nell’assenza di scrittura si coglie un monito per l’umanità intera che finge il non-ricordo: la natura può distruggere ciò che l’uomo crea, se non la si cura o tutela.

Olivo Barbieri, Fonni 2021 | Courtesy of Museo MAN

Troviamo sguardi in cui le testimonianze identitarie ataviche sono nascoste, ma nello stesso tempo,  si presentano tracce, rubate alla storia, in contesti privati come giardini, case, ovili, nell’inconsapevole  sacralità che avvolge queste pietre che raccontano di età in(de)finite.

Con Barbieri bruciano domande. “Interrogativi” rimbalzano e deflagrano nella nostra coscienza con tutta la loro forza devastante. Ciò che si percepisce diviene possibilità del far-si. Nel divenire acquisisce verità. Si rivedono situazioni limiti che con interventi adeguati potranno esser goduti dalla collettività?

Siamo lontani dai giochi di colore presenti in altri suoi lavori o da geometrie di volti urbani colti sorvolando con l’elicottero, azzurrità.

Con sguardo diretto, orizzontale la sua adesione al paesaggio è totale. Si fa presenza.  Si immerge, proprio come sosteneva  Serge Tisseron per inquadrare anche un frammento di mondo è necessario innanzitutto “sentirsi presi nel mondo”, in quel mondo che si ritrae.

Barbieri trasmette la sua percezione, quasi volesse farci da guida e noi possiamo assecondare il suo punto di vista e riflettere. Ci offre una possibilità come lui stesso dichiara nell’incipit sopra … in una concertazione proficua.

Integrato nella storia dell’isola, ne coglie l’identità regionale. Proprio lui che ama ricercare con  esattezza matematica il minimo comun denominatore dei luoghi che fotografa, nel palesare di aver assimilato la grammatica di certo linguaggio fotografico ( mi riferisco alle iniziali collaborazioni con Luigi Ghirri) o enfatizzare contrasti che stridono per alterità e richiamano il pensiero a nuove riletture e/o riflessioni.

Diversamente da altri lavori che raccontano di interventi architettonici realizzati dall’uomo, – che mutano, se non stravolgono paesaggi, in questo progetto la natura, con il suo riflesso evolutivo, appare libera, altèra, inafferrabile, egocentrica, dominatrice tra i megaliti, dove lo sguardo sfiora la sua fine ridefinendo l’eternità.

In sintesi non ci sono contrasti socioeconomici, né sensibilizzazione a tutela ambientale. Appare la storia vista da uno sguardo contemporaneo che non aggiunge né toglie. Mostra una percezione di realtà che per il fatto stesso che viene percepita è catalogabile come verità, hinc et nunc nel qui e ora.

Olivo Barbieri, Luras 2021 | Courtesy of MAN 

L’asse verticale, più o meno accentuato e imponente dei megaliti (forse in rappresentanza del ceto sociale di appartenenza o forse del ruolo), coglie certe architetture urbane che per assimilazione ricreano prospetti dalle forme allungate.

Oltre ai monumenti sepolcrali ritratti, più statici, lavorati dalla mano dell’uomo e dagli agenti geo-morfologici, altri protagonisti delle scene bucoliche sono gli alberi nel loro aprirsi e abbracciare l’area che li circonda, che raccontano l’operato dell’uomo come il taglio del sughero nelle maestose querce. Ora l’agire umano, lascia segni vividi che solo il tempo attenua. E la scrittura di luce suggella l’istante nell’annodare storie e memoria.

Una riflessione su cui soffermarsi potrebbe esser la durevolezza/solidità dei materiali vs. la caducità della natura. I megaliti sono integrati nel contesto, si mostrano per quel che sono. La natura presenta la sua fragilità nel mutare e nel suo esser inafferrabile. Un riflesso della natura umana?

La luce è quella del sole allo zenit, che rende nitide le immagini. Di trasparenza cristallina. Non c’è alcun elemento che rifletta un dramma. È la raffigurazione di un realtà che avvolge i sensi e infonde potere evocativo alle immagini. Infatti, è possibile percepire il profumo di macchia mediterranea, di terra brulla, arsa dal sole, di ovili, di bestiame che trova riparo all’ombra degli alberi. Assenze percepite da chi conosce quei luoghi che distinguono voci di natura come i grilli che friniscono indisciplinati o che danno forma al silenzio quando sentono i passi dell’uomo sul loro sentiero.

Olivo Barbieri esula da interpretazioni, esegue la commissione come un progetto di fede. Si pone come un ricercatore colto, vuole offrirci emozioni, richiamare sentimenti. Conosce l’isola più di noi sardi. Crea disincanto. E lascia una consapevolezza che già si possiede, ma qui si rimarca: la diversità e ricchezza ancora nascosta della nostra bellissima terra.

“È in te,

spirito mio,

che misuro

il tempo”

Sant’Agostino

©️Riproduzione Riservata

 

 

 

 

Museo MAN Nuoro | Tradizione e avanguardie negli arazzi dello Studio Pratha –

Arazzo Studio Pratha (particolare) All you need, 2022

« I tempi iniziali di tutte le arti sono i più ricchi di poesia, perchè è fatta di primitività e non di esperienza […]  Ogni linea, come ogni forma è un miracolo. Mistero dell’arte. Le linee amano lo spazio, creano dei ritmi, logicamente delle funzioni. Sono immense, autorevoli invitano i nostri occhi a disperdersi tra il susseguirsi di linee, forme e colori. »

Atanasio Soldati

Nuoro | Giugno 2023 – Atanasio Soldati,  pronuncia queste frasi per descrivere la natura delle sue ricerche espressive, segnate da un’intuito creativo non più legato alla rappresentazione della realtà.

Correva l’anno 1935 e l’Italia viveva un irripetibile fermento creativo di respiro europeista. L’arte mutava significati e forme.

Ho citato quelle parole perché ho colto il  linguaggio estetico degli arazzi dello Studio Pratha.

Finalmente sono riuscita a vederli. Sembrava che il tempo avesse ceduto il passo al suo eterno fluire.

Studio Pratha Foto EllEmmE

Courtesy of  Studio Pratha | Museo MAN Nuoro

Lo Studio Pratha è un centro di tessitura a telaio che promuove raffinate sintesi estetiche e mostra di aver assimilato e reinterpretato varie declinazioni e ricerche espressive dell’arte moderna, secondo quella “trasversatilità” (cara a Philippe Daverio) di cui é capace il pensiero umano.

Nasce a Nuoro nel 2017 da un’idea di Graziella Carta, che con capacità imprenditoriale, sensibilità estetica e creativa coinvolge in questo progetto alcune tessitrici del piccolo borgo di Sarule, paese collinare nel cuore della Barbagia.

Donne depositarie di complesse procedure dell’antica tradizione tessile: filano, colorano con prodotti naturali, intrecciano lana di pecora sarda con estrema precisione e accuratezza.  Utilizzano l’antico telaio verticale che “suonano” a quattro mani per una resa espressiva più intensa, con giochi di colore:  esiti cromatici   pulsanti che avvolgono sensi e anima. Un ritmo che definisce il vuoto creativo che per magia apre all’immaginazione e a nuovi pensieri.

Tra gli artisti che hanno realizzato disegni, – legati all’informale, – per i centri di tessitura artigianale, svincolati da patterns  tradizionali, ricordo per la sua originalità creativa Mauro Manca  (1913-1969) che,  – come ricorda Giuliana Altea nell‘opera Tessuti – Tradizione e innovazione della tessitura in Sardegna – “traspone nel tessuto le ricerche che contemporaneamente va conducendo in pittura: nei suoi tappeti troviamo energici tralicci neri su fondo bianco, […] effetti di dripping o di sovrapposizione e “cancellazione” di strati successivi di colore”.

Mauro Manca | Tappeto in lana, Aggius, 1959 | Collezione ISOLA

Accanto a questo progetto avanguardistico  (con rimandi all’espressionismo astratto di Jackson Pollock) Manca coltiva la sua idea di tutela della tradizione seppur rinnovandola. E, proprio per le tessitrici di Sarule, realizza alcuni disegni dove accanto alle caratteristiche tessili del  luogo (le righe)  inserisce elementi innovativi quali la luna e le stelle, accenti simbolici di certa tradizione esoterica.

Oggi, in continuità con l’idea rivoluzionaria di Mauro Manca, che aveva ben compreso come rielaborare la tradizione trasferendovi l’essenza del contemporaneo, l’attenzione agli arazzi dello Studio Pratha – che al momento si possono vedere in una mostra al MAN di Nuoro dal titolo “Pratha – Trame e geometrie”, fino al 25 Giugno, – da parte di operatori e istituzioni museali, nazionali e internazionali,  penso sia da ricercare nelle  suggestioni e corrispondenze che si sviluppano tra queste opere, la tradizione locale e certe tendenze artistiche d’avanguardia che nell’attuale esposizione sono legate all’astrattismo geometrico della prima metà del secolo scorso.

Infatti, distinguiamo esiti del Bauhaus – scuola tedesca d’arte e mestieri, – dell’astrattismo geometrico sviluppato dal Gruppo Como: Mario Radice, con le sue opere più spirituali, nella sua costante ricerca di proporzioni armoniche legate all’idea del divino o di Manlio Rho, Carla Badiali e tanti altri.

Artisti che in rottura con la tradizione, attribuivano nuovi significati a forme e colori con  linguaggi estetici rigorosi, alla ricerca di quella perfezione/verità che inesorabilmente sfugge, legati ad indagini soggettive,  più intime e spirituali.

È innegabile la prima emozione: appena si scorgono le opere appese alle pareti del museo, si viene travolti da una vibrante energia: una cascata di puri colori, intensi, accecanti. Come se d’improvviso, camminando sulla battigia, veniamo trascinati via da onde impetuose.  Una sensazione incredibile. La stessa che provai quando vidi per la prima volta le tele di Jackson Pollock. Tra colore e gestualità. Rimasi ipnotizzata. E  poiché sono opere allover non sapevo più dove guardare. Percepivo solo attrazione per la pluralità di segni e colori. Immaginavo Pollock immerso in una danza tribale che allontanava la sua inquieta malinconia e con le sue bacchette/manici dei pennelli gocciolava vernice sulle tele disposte per terra. Opere immense. 

Dopo il primo momento legato al colore, il rimando è stato al laboratorio di tessitura della scuola Bauhaus. Istituzione fondata a Weimar nel 1919 dall’architetto Walter Gropius, anche se ebbe altre sedi in varie città tedesche. prima della sua chiusura nel 1933.

Nata dalla fusione dell’Accademia di Belle Arti con la Scuola di Arti Applicate, vi si svolgeva la didattica per una  preparazione tecnica, a cui seguiva una creazione artigianale finalizzata ad una produzione industriale.  Contrariamente allo Studio Pratha,  dove la creatività si fonde con la progettualità stessa degli arazzi che sono pezzi unici.

Studio Pratha | foto ©️EllEmmE

New Bauhaus 2022 180×157 cm | Arazzo, Lana di pecora sarda Courtesy of ©️Studio Pratha | Museo MAN Nuoro

L’opera New Bauhaus, 2022 , mostra su una campitura chiara, una resa di trasparenza, una asimmetria armonica in una composizione di figure geometriche realizzate con colori primari, colori simbolo utilizzati da tanti artisti, tra i quali Piet Mondrian nelle sue ricerche neoplastiche a completamento della sua visione geometrico-matematica del mondo di cui cercava di coglierne l’essenza.

Guardando gli elementi di questo arazzo, si può evidenziare una certa staticità.  Le figure sembrano sospese. Galleggiano. È presente una certa profondità di campo (assente nelle opere di Mondrian) che si evince nelle ombre riprodotte; e forzando i significati si nota una relazione. Infatti, le cornici teoriche, sono composte da rette (perpendicolari) che s’incontrano, creando angoli retti.  Quindi comunicano. Sono unite.  Accanto, l’idea di un rettangolo aperto, senza chiusura o barriera che potrebbe alludere a disponibilità, accoglienza. Allusioni  etiche.  Forse inclusione? Una diversità che va com/presa, pur nella unicità e promuove nuove sintesi?

I due semicerchi (con diametro rivolto al centro) uno situato nella parte inferiore, in prossimità della terra, mentre quello blu, rivolto verso l’alto, un riflesso del cielo, con la presenza di un triangolo sulla sinistra, a cui si può attribuire un valore spirituale, – sembrano delimitare e avvolgere, con le loro semi-circonferenze, le figure centrali, quasi ad aspirare a una conciliazione tra forme geometrico-spaziali, ovvero l’arte, e il contenuto sociale del manufatto quindi il lavoro delle tessitrici, che realizzano trama e ordito, segni dell’agire umano, segni di vita.

Viene superata la ricerca di Mondrian tra arte e vita che nelle sue griglie tentava di raffigurare una conciliazione, un’integrazione.

In New Bauhaus, si può  notare un elemento che diversifica: la striscia verticale composta da due rettangoli allungati identici. Posti in continuità. Una perpendicolare, una via di unione alto-basso che sembra procedere oltre l’opera, tra cielo e terra. Forse una chiave di lettura dell’arazzo potrebbe essere che l’arte è essenza della vita, l’una rimanda all’altra. Necessarie per dare senso e contenuti all’esistenza, si alimentano reciprocamente instillate quali parti di una stessa anima, da un essere superiore.

Ecco perché in questi arazzi si percepisce una forte tensione spirituale che rimanda ad un’approccio meditativo, accanto ad una ricerca espressiva e sensibilità estetica per scelte cromatiche e forme geometriche.

Labyrintus 4, 2022 | Arazzo Lana di pecora sarda  | Courtesy of Studio Pratha Museo MAN Nuoro

Nell’opera Labyrintus,  2022, si rappresenta un percorso, con elementi disturbanti ripetitivi, problemi, superamenti, ricadute. Rettangoli e quadrati, alcuni strappati, sfilacciati, incompleti. In posizione centrale è raffigurato un quadrato nero a cui tutto sembra tendere in un movimento rotatorio. Un vuoto che crea distacco, ma che ha il potere di illuminare. La profondità è creata dalla disposizione dei rettangoli; allungati, sottili, alcuni con graziosi patterns decorativi, quasi barriere, come pezzi di nastro adesivo, in una struttura armonica. Nulla è casuale, tutto è consequenziale, elementi di sutura per unire  parti che altrimenti si perderebbero ma che risultano essere  funzionali.

Se forziamo il concetto  di sutura tra i rettangoli si potrebbe evocare l’idea di unione, interrelazione quindi collaborazione. Forse l’esperienza lavorativa che vivono le tessitrici, in cui gli arazzi nascono da una coralità di idee, una sinergia che é la forza  stessa del gruppo?

Altro riferimento ci viene dato dall’espressionismo astratto. E, tra le varie teorie dei colori  qui ricordo quella di Hans Hofmann, esponente di questo movimento americano, che se avesse visto le figure geometriche presenti  negli arazzi dello Studio Pratha le avrebbe definite “superfici pulsanti e luminose che emanano una luce mistica”. Quindi esseri viventi. Il cromatismo, quale espediente espressivo, sembra  riuscire  ad infondere lo spirito vitale. 

Dedalo 3, 2022 140×140 | Arazzo lana di pecora sarda | Courtesy of ©️StudioPratha | Museo MAN Nuoro

Guardando l’arazzo  Dedalo 3 si può percepire un leggero movimento, secondo la teoria  push/pull di Hofmann per la quale alcuni colori “spingono” fuori, emergono, mentre altri sembrano “tirare”, penetrare, allungare lo spazio visivo. Creare distanza.

Particolare Dedalo 3, 2022 ©️Studio Pratha

E precisamente i colori cosiddetti caldi, che si associano  alla luminosità del giorno, quindi il giallo, il rosso, l’arancione…spingono verso di noi, nel nostro spazio visivo. Hanno potere attrattivo. Mentre i colori freddi, legati all’oscurità e alla notte il blu, il marrone, il viola, sono distanti, si allontanano dai nostri occhi. Sono più discreti, meno invasivi. Pacati. Distensivi.

E dall’accostamento dei colori si crea movimento proprio perché il colore riflette sfumature diverse. Vibra.   Avvolge i sensi. Coinvolge. E permette di respirare quell’aria mistica di cui Hofmann parlava.

Rigore e logica mod. 4d, 2022 180×75 | Arazzo lana di pecora sarda | Courtesy of ©️Studio Pratha ! Museo MAN Nuoro

L’opera Rigore e logica,  2022,   mostra un armonioso equilibrio di colori, forme, segni,  in cui è ben visibile la tridimensionalità. Se si guarda con atteggiamento contemplativo,  liberando la mente dai pensieri, si può percepire.

Abbiamo sezioni di colore e strisce nere e bianche, percorsi che si intersecano, collegano, delimitano. Forse si raffigura  la società nella quale si vive? Che ha smarrito queste due categorie: rigore e logica? O riflette l’attuazione dell’opera stessa, tra il rigore della progettazione e la sua realizzazione al telaio, in cui tutto è consequenziale – secondo una linea evolutiva – con la compresenza dell’elemento della tradizione, le righe, che formano il piccolo quadrato?

Avrei desiderato approfondire, poiché non è possibile, spero almeno di aver  suscitato in voi la curiosità di visitare il MAN per vedere questi bellissimi arazzi. Posso solo aggiungere che la vera essenza dell’arte é riposta nell’anima di chi crea.  Lì, dove confluiscono, in ordine sparso, come fogli di libri gettati al vento. Alla rinfusa. Segni del passato e presente. E tra ricordi, cristalli preziosi della memoria, si r/accorda la contemporaneità. Proprio come gli arazzi realizzati  dallo Studio Pratha, in un alone di sincretismo « magico »,  per quella capacità di sintesi mostrata facendo confluire, con delicato lirismo,  tradizione e avanguardia.

©lyciameleligios

All’Archivio Mario Cervo #nonmollaremai di Tommy Rossi : prevenzione oncologica e musica … per mano

Olbia, 24 Maggio 2023 – Ad Olbia esiste un luogo incantato, un piccolo giardino immerso tra stradine affastellate di quartiere. Spazioso. Informale. Ogni angolo respira musica e la memoria sconfigge l’oblìo in eterno silenzio. 

Parlo dell’Archivio Mario Cervo e dell’Associazione Culturale che lo gestisce, sempre più attiva nel promuovere eventi diversificati che lasciano segni indelebili nell’anima dei presenti: sia per le tematiche proposte che per l’atmosfera, densa di energia che si respira.

Alle volte penso sia dovuto alla passione per la musica di Mario Cervo, alla sua inquieta curiosità, alle sue costanti ricerche tangibili per l’immensa mole di musica archiviata.

Ebbene sì, si percepisce una sua “velata presenza”, forse l’intenzione di consenso, riposta in un abbraccio per il lavoro di ricerca, tutela e divulgazione della tradizione musicale sarda, svolto dai suoi famigliari in un continuum con il suo precedente lavoro di raccolta.

Tommy Rossi | Courtesy of ©️archiviomariocervo

In questo tempio della musica sarda si è svolta la serata #nonmollaremai a carattere medico-divulgativo-solidale. Nata da un’idea dello speaker radiofonico Tommy Rossi, con la collaborazione dell’Ass. Culturale “Archivio Mario Cervo” e dei medici del reparto di Oncologia del San Giovanni Paolo II al fine di sensibilizzare le persone alla prevenzione e agli screening oncologici salvavita, a seguire stili di vita più sani per debellare l’insorgenza di forme tumorali.

Agli interventi degli oncologi seguono le esibizioni  (a titolo gratuito) di alcuni artisti sardi: il bluesman Francesco Piu e il gruppo etno-pop dei Tazenda e proprio al loro leader storico, Andrea Parodi, scomparso nel 2006 per un tumore, si dedica l’intera serata.
Inoltre, si promuove un fundraising per acquistare beni primari al reparto di Oncologia.

Il primo a prender parola è il primario di oncologia del GPII, Dott. Salvatore Ortu, che illustra brevemente la nascita del reparto inizialmente integrato nel reparto di Medicina.
Quando giunto ad Olbia nel 1992, dopo aver vinto il concorso di medico oncologo, organizzava un piccolo ambulatorio, grazie alla collaborazione del personale presente.

In seguito, ottenute nuove risorse finanziarie, nuovi spazi e nuove figure professionali riuscì a creare la realtà attuale che avrebbe permesso di seguire e prendersi cura dei pazienti oncologici nelle varie fasi.

Il cancro è una malattia che da un lato impressiona per i dati raccolti (su 160.000 abitanti della ASL Gallura, 1000 circa sono i pazienti oncologici per anno in Gallura, dato parziale perché si escludono le persone in cura presso altre strutture) dall’altra infonde speranza per la costante ricerca di terapie innovative e nuovi protocolli medici.

I pazienti in cura sono 7000, di cui 100 al giorno transitano in reparto per prime visite, follow up e terapie; 60 pazienti fruiscono dell’assistenza a domicilio in varie zone della Gallura; è attivo un hospice con 8 posti letto, pochi per una struttura che ha numeri importanti. (Si spera che arrivino nuove risorse per gli 8 nuovi posti letto promessi).

Dopo questa premessa di carattere organizzativo con allarmanti dati statistici, il Dott. Ortu ringrazia e ricorda il lavoro prezioso svolto dal personale infermieristico, riferimento costante e valido supporto per i medici e pazienti.

Francesco Piu | Courtesy of ©️archiviomariocervo

Ed ecco protagonista la musica con il talentuoso bluesman Francesco Piu che esegue alcuni brani classici del suo repertorio come l’intensa “Trouble So Hard” con una dedica a “Frantziscu,  faro per tutti i musicisti dell’isola”. Con parole di pura riconoscenza Piu ricorda Francesco Pilu, il carismatico musicista dei Cordas et Cannas, frontman, polistrumentista e voce del gruppo, rubato presto alla vita, lasciando sgomenti e increduli, chi lo conosceva.

Ora attinge dal passato leggendario della musica blues, con echi di Robert Johnson, padre fondatore, con sonorità frizzanti proprie dell’incredibile washboard, – strumento “povero” utilizzato fin dalle origini di questo genere musicale – e con la mitica armonica a bocca, che avvolge all’unisono la sua voce graffiante, calda e modula l’allegria sonora del washboard che trasmette vitalità, incoraggia.
Ciò prova come questo genere musicale sia autentica “poetica di sopravvivenza”, ( per citare lo scrittore Massimo Carlotto, che non scrive senza ascoltare blues)  anche se in realtà tutta la musica ha in sé questa potenzialità: aiuta a sopravvivere. È terapia per l’anima.  Lenisce ferite. Consola.  Acchiappa ricordi. Sfiora l’eterno.

Infine, prima di eseguire l’ultimo brano “Hold On” tratto dall’album “Pace e Groove” ripete l‘inno della serata #nonmollaremai perché è importante “resistere”.

Infatti, non bisogna mai perdere la speranza, ma al contrario ci si deve aggrappare per reagire, focalizzare bei ricordi e sensazioni provate e combattere. Ci si deve “incollare”, quasi aderire alle stupende emozioni che offre la vita espresse in tutto ciò che ci circonda: natura, cielo, mare, affetti più cari, animali domestici, tutto ciò che é vivo, che trasmette vita e che ci fa star bene. E, come ricorda lo stesso Piu nella canzone:

“Continua ad andare avanti e non sentirti mai solo […] 

Devi portare i tuoi sogni, i tuoi sogni amico mio 

Lungo ogni strada che percorri, 

in modo che possano prendere il volo”

Tommy Rossi e Teresa Pira | Courtesy of ©️archiviomariocervo

Dopo il breve concerto di Francesco Piu,  intervengono gli oncologi la dott.ssa Teresa Pira e il dott. Alessandro Masala, che espongono, con argomentazioni più tecniche e specifiche, i protocolli di prevenzione e screening; parlano dell’importanza di eliminare i fattori di rischio quali il fumo, l’obesità, la sedentarietà, i rapporti sessuali promiscui non protetti e l’abuso di alcolici (come prevenzione primaria).

Lo screening (detta prevenzione secondaria) comporta una diagnosi e se presenti lesioni precancerose si provvede a terapia o asportazione. 

La dott.ssa Pira esaustivamente parla: del vaccino (gratuito) HPV negli adolescenti sia maschi che femmine che rimuove il Papilloma Virus nel 95 per cento dei casi; dello screening gratuito attivo solo per mammella, colon-retto e collo dell’utero, ciò perché le statistiche hanno evidenziato una notevole riduzione della mortalità.

Dott. Masala continua a parlare di screening del colon-retto che nel 2023 è stato sospeso per mancati accordi con l’azienda farmaceutica che fornisce i dispositivi. Ma, sottolinea un dato infelice nel 2022 su 6000 lettere inviate per lo screening solo 1300 quelle evase e continua con l’approvazione di questo tipo di eventi al fine di sensibilizzare la popolazione a partecipare agli screening gratuiti e seguire i percorsi suggeriti.
Fare prevenzione è determinante perché questa forma tumorale, come riporta Dott. Masala, è la seconda per mortalità. I programmi di screening servono per ridurre questo dato, grazie anche ai “miglioramenti delle tecniche chirurgiche, all’innovazione delle terapie oncologiche”.

Si prosegue citando i markers tumorali spesso inaffidabili, a meno che non si abbia già una diagnosi; dei tumori del ramo encefalico che seppur trattati con terapie sempre più innovative presentano, purtroppo, un’elevata mortalità. Per questi tumori non esistono programmi di screening, ma si possono debellare seguendo sani stili di vita, eliminando i fattori di rischio primario precedentemente elencati e si conclude con un dato statistico sconcertante “l’80 per cento dei tumori cervico-cefalici sono correlati all’abuso di alcohol e sigarette” mentre il 20 per cento esulano da stili di vita impropri e possono esser di natura virale, HPV, virus di Epstein-Barr a ciò si aggiungono esposizioni a solventi, polveri,  etc. in ambito lavorativo che determinano i cosiddetti “processi di carcinogenesi”e sviluppano la malattia.

Interventi illuminanti su cui è bene soffermarsi e riflettere poiché nessuno è immune. Spesso si fugge davanti alla parola tumore,  si respinge perché prevale la paura dell’ignoto.  Gli ammalati si chiudono in loro stessi poiché le priorità rispetto alle persone sane mutano. Si cerca di vivere una vita parallela focalizzata sulle terapie e il recupero delle energie bruciate dalle terapie. Alla fine si sceglie “involontariamente” di parlare e condividere timori e perplessità con le persone  che affrontano lo stesso cammino per affinità e per combattere insieme, ma se si uniscono le forze, in un supporto reciproco, o chiedendo aiuto agli altri senza timore, la battaglia risulta essere meno dura e si ha la possibilità di vincere. 

Tommy Rossi, Alessandro Masala, Teresa Pira | Courtesy of ©️archiviomariocervo

Ecco, l’immenso valore delle tre parole #nonmollaremai, simbolo di  resistenza vitale, per sforzarsi di vedere bagliori, lì dove sembra dominare l’oscurità.

Oltre alla prevenzione, in fase di terapia è bene avere un atteggiamento positivo, liberare la mente da pensieri o situazioni spiacevoli con l’ausilio della meditazione (che io proporrei come disciplina nelle scuole dell’obbligo  al pari dell’insegnamento dell’educazione fisica) e praticare la gratitudine. 

A questo punto, nella notte vestita di musica appaiono i Tazenda, gruppo tra i più innovativi del panorama musicale sardo, che è riuscito a distinguersi per le rielaborazioni sonore, attinte dal patrimonio etnico dell’isola , con il rock e il pop, e per l’alternanza linguistica nelle strofe: sardo – nella variante logudorese – e italiano. 

Appare nella sua formazione attuale: Gino Marielli e Gigi Camedda,  icone della band sarda rispettivamente chitarra del gruppo e voce il primo,   e tastiera, piano e voce il secondo;  Nicola Nite, frontman del gruppo dal 2013, palesemente ben integrato anche nelle canzoni che hanno segnato la storia musicale del gruppo, quando erano presenti Andrea Parodi o Beppe Dettori.

I Tazenda:  Gigi Camedda, Nicola Nite, Gino Marielli | Courtesy of ©️archiviomariocervo

 

In loro compagnia si vive un affascinante e struggente viaggio nel tempo,  in quella memoria storica che amplifica ricordi e allunga la vita. 

Si comincia dal 1992, trionfo sanremese, “Pitzinnos in sa gherra” con le loro armonizzazioni – che ben definiscono la band conferendole unicità o meglio riconoscibilità – e con l’inserimento di due strofe scritte in lingua italiana dal cantautore Fabrizio De André.

Una canzone evergreen, dal tema di un’attualità sconcertante e dolorosa. Protagonisti i bambini che vivono nei territori colpiti da conflitti e guerre infinite, non conosceranno la spensieratezza, la purezza dell’infanzia nel giocare con le armi. Oggetti che annientano vite considerate alla stregua di un nulla.

Poi è la volta di “Carrasecare” del 1988, scritta con la collaborazione di  Piero Marras. L’indistinguibile sound, qui con ritmi più vivaci, racchiude l’essenza del carnevale barbaricino dove la presenza di rituali apotropaici richiama libertà, spensieratezza. Vivere senza limiti.

Un momento di struggente nostalgia si percepisce con “Domo Mea”, del 2007, canzone scritta in ricordo di Andrea Parodi con la  collaborazione di Beppe Dettori (allora solista del gruppo) ed Eros Ramazzotti.  Un brano indimenticabile,  con una melodia raffinata che sapientemente intreccia alla lingua sarda caratterizzanti e distinguibili sonorità del trio.

Si ricorda la collaborazione con i Modà nel brano “Cuore e vento”, scritto da Kekko Silvestri con Gino Marielli. Una lirica dedicata alla Sardegna,  isola di tradizioni millenarie,  dominata da intensi profumi, sapori e da un vento di maestrale che le fa da “corazza”  e da una bellezza quasi ammaliante,  di cui “anche la luna si arrende”e dove la stagione più bella è la primavera.

Il concerto continua attingendo ancora dal passato con Mamoiada, dedicata al piccolo paese omonimo, un brano del 1991 con risvolto sociologico. 

Ora il canto diventa più introspettivo, una delicata dimensione spirituale in La Ricerca di te (2007):  “Portami oltre il pensiero / Aldilà del mistero / Aiuta la mia Essenza ad andare via da ogni idea / Invitami ogni giorno alla ricerca di me”

Quando appare un quadro impressionista con “Spunta la luna dal monte” del 1991 – scritta da Gino Marielli, penna d’oro del gruppo – in collaborazione con Pierangelo Bertoli: una scena notturna tra luci dorate di luna che vibrano e abbracciano bimbi poveri che manifestano gioia pur nei loro semplici giochi di strada.

Infine non poteva mancare la canzone identitaria dei sardi, eseguita da tanti artisti tra i quali i Tazenda “Non potho reposare”.

Finisce con queste note la serata inaugurale di #nonmollaremai di Tommy Rossi and friends nel giardino dell’archivio tra episodi musicali che hanno reso lievi argomenti complessi e dolorosi, hanno nutrito lo spirito per le tante emozioni vissute, con una consapevolezza sempre più crescente: del perché la musica sia priva di confini e funga da antidoto alla nostalgia, nella sua immediatezza di cogliere ricordi e poterli rivivere; e inoltre, di quanto sia, da sempre, la migliore terapia per l’anima.

 

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Olbia | Arte e tradizioni dal Messico negli spazi dell’Associazione Libere Energie

Novembre 2021 – Aria messicana ad Olbia, negli spazi dell’ Associazione Libere Energie, per una collettiva di artisti di Durango che irrompe nel torpore autunnale e ci induce, in concomitanza della Festività dei Morti, a riflettere sul tema della morte in toni più “luminosi” per la presenza di contrasti cromatici vivaci ed intensi, propri della tradizione messicana.

La curatrice Nuria Metzi Montoya, – di origini messicane e discendente del Montoya muralista, contemporaneo di Diego Rivera, marito della più celebre Frida Kahlo,- propone in mostra opere di alcuni suoi connazionali quali: Manuel Piñon, Alma Santillán, Antonio Díaz Cortés, Armando Montoya, Candelario Vázquez, César Muñoz Carranza, Diana Franco, Tomás Castro Bringas, Juan Rodríguez López, Germán Vallez, Eulene Franzcelia, José Luis Ruiz “el Piípi”, Helder Gandara, Paco Nava, Ricardo Fernández, J.Carlos Mendívil, Manuel Valles Gómez, Milton Navarro, Leonor Chacón Vera, Valentino Salas.

Ma, nella sala espositiva, si percepisce un’insolita energia associata ad un richiamo visivo, che scaturisce dalla varietà cromatica e dalla presenza di una pluralità di oggetti disposti su una struttura triangolare a piccoli gradini: fiori, ceri votivi, arance, frutta secca, specchi, bambole, piccoli teschi, pani, ventagli, marmellate, maschere. È un altare votivo tipico della tradizione popolare messicana che, in questo periodo, numerose famiglie allestiscono in un angolo della casa, in memoria dei propri cari.

Un altare del ricordo per il Dia de Muertos che nello spazio espositivo è dedicato al primo presidente messicano, originario di Durango, Guadalupe Victoria, al pittore realista e muralista Francisco Montoya de la Cruz, allo scultore Benigno Montoya, celebre per le sue stele funerarie e infine alla pittrice Mercedes Burciaga, nonna della curatrice e moglie di Francisco.

Altare domestico

L’allestimento dell’altare domestico come un’installazione artistica, quasi un far confluire l’arte nel quotidiano, oltre al tema della morte – che acquisisce connotati umani da esser identificata nella iconica Catrina (termine coniato da Diego Rivera)* simbolo nazionale, rappresentata con abiti europei come una sposa, – li potremo avvicinare, anche se in maniera semplicistica, alla definizione di “umore nero” che il surrealista, André Breton, vide radicato nella popolazione messicana che tende riconciliare/unire vita e morte.

Un concetto elaborato la cui assimilazione (almeno per noi) risulta complessa, che potremo definire d’avanguardia proprio come quei surrealisti che nei primi del novecento (1920) furono affascinati dalla cultura messicana in cui il linguaggio artistico esprimeva contenuti che stupivano, emozionavano e sconvolgevano.

Ma, sembrerebbe anche un concetto contemporaneo perchè derivato dalla stratificazione, meglio trasversalità, delle varie culture tra le quali: quelle precolombiane associate a culture di varie etnie; quella repressiva e violenta da parte dei colonizzatori spagnoli che tentarono di soffocare usi e costumi autoctoni; la diffusione della religione cristiana; la cultura africana diffusa con la tratta degli schiavi e altri fattori hanno creato un sincretismo originale caratterizzante l’identità culturale messicana, legata al culto dei morti.

Conciliarsi con la morte comporta un elevato grado di atteggiamento riflessivo, di spiritualità, di accettazione, di rassegnazione e implica un esilio dal tangibile, dal materialismo per far emergere tracce di pensiero, azioni, emozioni di coloro che hanno lasciato la terra, convivono nell’anima e si percepiscono come vivi.

La vita accoglie il suo senso con queste “presenze” e la morte diviene più concreta, più umana. Un significato che il poverello d’Assisi ben comprese ed espresse nel suo Cantico delle Creature.

©️Manuel Valles, Attesa, 2012

Osservando le opere esposte, di cui molte legate al Dia de Muertos, si traspone in pittura il sentimento del ricordo, il desiderio di presenza, l’esserci.

Tra gli astratti si colgono urla implose in graffi ripetuti che invadono lo spazio o luoghi dagli esili confini che sembrano sfumare dinanzi al fluire eterno.

Nel figurativo tra surreale, popolare e espressionista troviamo alcuni volti abbozzati, altri profondamente segnati dalla sofferenza dell’assenza – come la bellissima paternità di Tomás Bringas, maestro incisore di Durango – che predispongono ad un’arte figurativa di indagine e di equilibrio nel rappresentare il dolore che rende, inermi dove il colore da struttura, dialoga con gli spazi, emana silente energia o dove la luminosità del bianco illumina e trasfigura quasi alludendo ad una distaccata rassegnazione.

©️Tomás Bringas, Día de los muertos, 1995 | monotipo su cartoncino [particolare]

E ancora figure che diffondono nella spazio della tela la loro consistenza materica in dissoluzione o altre con echi simbolisti che vagano sopra la terra mostrando la nuova natura di angeli che vigilano e proteggono.

La vista è l’organo preposto a seguire pieghe, riflessi taciuti, impercettibili presenze, soccorre dove manca la dimensione, dove accanto alla fissità e piattezza di bizantiniana memoria vi è  sottesa una sorta di bellezza pura che mira all’essenziale senza particolari tecnicismi ma volta ad enfatizzare l’istante creativo nel segno del colore che assume valore semantico.

©️Armando Montoya, Untitled 2005 | vetro, acrilico

S’intravvedono alcune citazioni artistiche, ma la bellezza dell’arte è la capacità di sintesi nell’emulazione inconscia. Ciò apre squarci di cielo per nuove idee.

Una mostra che merita una visita: non solo per vivere un momento di nuove conoscenze etno-antropologiche, riflettere sulla sorella morte per utilizzare le parole di Francesco, gustarsi opere distanti dalla nostra sensibilità estetica ma perché l’evolversi della creatività va di pari passo con quella libertà a cui tutti aneliamo.

©️lyciameleligios

Nuria Mezli Montoya | Sito http://nuriametzli.blogspot.com/

Associazione Libere Energie | via Bramante 55 | h. 18,30 – 20,00 | mostra fino al 12 novembre

Cagliari | Al via la VIIª Edizione del Festival letterario in ricordo dell’intellettuale sardo Emilio Lussu

«È così figliolo, che deve comportarsi un uomo, e te ne accorgerai sempre di più con l’andar degli anni. […] quel che è necessario è vivere con dignità senza mai aver vergogna di se stessi, e poter sempre guardare tutti negli occhi […] amici e nemici, uomini e donne […] peccato è fingere di essere virtuosi e agire da imbroglioni».

Giovanni Lussu

Queste significative parole del padre di Emilio Lussu ispirarono e impressionarono il pensiero del figlio, Emilio, che assimilò e traspose alla radice delle sue idee di libertà, dignità, identità, giustizia, trasparenza democratica, onestà intellettuale, lealtà, uguaglianza.

Un breve ricordo per introdurre un evento letterario legato al nome di chi la storia non l’ha solo raccontata ma è stato protagonista illuminato.

Dal primo al sei ottobre a Cagliari — tra l’Espace Peacock e la Sala Castello Hotel Regina Margherita — si ricorderà la sua figura di intellettuale e politico nel Festival letterario Premio Emilio Lussu, giunto alla sua settima edizione. Inoltre, saranno protagonisti anche altri autori del panorama letterario quali Leonardo Sciascia, Georges Simenon, José Saramago di cui sarà presente la figlia Violante Matos e il cantautore Claudio Lolli.

Sei giornate con numerosi appuntamenti dedicate a incontri con autori, reading, laboratori di scrittura in cui verranno coinvolte le scuole.

L’evento — sotto la regia di Alessandro Macis, di Gianni Mascia quale direttore artistico della Scuola popolare di poesia di Is Mirrionis e di Patrizia Masala, alla direzione organizzativa — promosso dall’Associazione culturale L’Alambicco con il patrocinio della Camera dei Deputati, della Regione Sardegna, del Comune di Cagliari e in parternariato con enti, università e associazioni.

PROGRAMMA. 

Venerdì 1 ottobre

La manifestazione prende il via venerdì alle ore 11 all’Espace Peacock – Events & Meetings di via Campidano 24/A, con l’incontro tra gli studenti e la Scuola popolare di poesia di Is Mirrionis e il reading poetico “I volti di Cristo” a cura di Gianni Mascia e Mauro Dedoni.

Alle 16.30 si va alla scoperta de “I giornalisti narratori”, accogliendo gli autori di alcuni successi editoriali del momento che si confronteranno con lo scrittore Guido Conti e il giornalista critico letterario Bruno Quaranta

Saranno presentati nell’ordine: “Reo confesso. Un’indagine del commissario Soneri” di Valerio Varesi (Mondadori, 2021); “La confraternita dell’asino” di Bruno Gambarotta (Manni, 2020); “I delitti della salina” di Francesco Abate (Einaudi, 2020); “Hotel Nord America” di Giacomo Mameli (Il Maestrale, 2020). 

Alle 19.30 Bruno Gambarotta propone il reading “Georges Simenon: Intervista impossibile”, in cui Alessandro Macis interpreta il ruolo dell’intervistato non comune.

Sabato 2 ottobre l’evento si trasferisce nella Sala Castello dell’Hotel Regina Margherita, dove alle 10.30 Guido Conti condurrà il “Laboratorio Leggere per imparare a scrivere” rivolto a insegnanti e studenti delle Scuole medie e superiori.

Alle 16.30 Matteo Collura, Daniela Marcheschi, Mario Patané porgeranno uno speciale omaggio al grande scrittore Leonardo Sciascia in occasione del centenario della nascita. 

L’attesissima cerimonia di proclamazione dei vincitori del Premio Lussu si terrà alle 18.30. 

Sono due le sezioni in concorso: La “Narrativa edita”, con una giuria internazionale presieduta da Guido Conti e composta da Bruno Quaranta, Miruna Bulumete, Raniero Speelman, Manuela Ennas; la “Narrativa a fumetti edita”, con una giuria internazionale presieduta da Ángel De La Calle e composta da Mario Greco, Sandro Dessì, Massimo Spiga.

Domenica 3 ottobre, sempre nella Sala Castello la giornata sarà dedicata alla figura di Emilio Lussu tra politica, storia e diritto, all’interno del IV Seminario Internazionale di Studi che, a partire dalle 9 del mattino, vedrà intervenire Gian Giacomo Ortu (coordinare del convegno), Giovanna Granata, Italo Birocchi, Federico Francioni, Luisa Maria Plaisant, Daniela Marcheschi, Luisa Marínho Antunes e Alberto Cabboi.

Nel pomeriggio, alle 17 sarà presentato il libro “Per rileggere Emilio Lussu” a cura di Daniela Marcheschi (Libreria Ticinum Editore, 2021). Il volume è stato realizzato grazie al contributo della Fondazione di Sardegna e contiene gli atti dei seminari internazionali di Studi su Emilio Lussu svolti a Cagliari nel 2018 e ad Armungia nel 2019. Interverranno Daniela Marcheschi, Gian Giacomo Ortu, Alberto Cabboi, Daniela Matronola, Guido Conti, Luisa Marínho Antunes, Alessandro Macis ed Elisabetta Balduzzi.

Subito dopo sarà presentato il libro “Il mio amico” (Manni, 2020) di Daniela Matronola che dialogherà con Caterina Arcangelo

Dalle 18.45 la serata prosegue con l’omaggio a Claudio Lolli “Dal Viaggio in Italia di Claudio Lolli a Ferite&feritoie” a cura di Paolo Capodacqua. Partecipano Marina Stefani, Federico Lolli, Tommaso Lolli, membri del Comitato promotore “Fondazione Claudio Lolli”, partner del Festival Lussu.

Lunedì 4 ottobre la mattinata si apre alle 10 con l’omaggio a Gianni Rodari, un incontro rivolto alle scuole. A illustrare l’opera e leggere alcuni brani di Rodari saranno Daniela Marcheschi, Roberto Randaccio, Guido Conti. Paolo Capodacqua si esibirà nel recital-omaggio a Gianni Rodari “La bella luna a dondolo”.

Alle 17 sarà presentato il libro “Le malizie delle donne” (Marietti 1820, 2021) di Luisa Marínho Antunes che si confronterà con Elisabetta Balduzzi e Daniela Marcheschi. 

Alle 17.45 una presenza molto attesa, quella di Violante Matos Saramago, figlia del grande autore portoghese José Saramago. Assieme a Daniela Marcheschi e Guido Conti, Violante converserà su Cecità, nota pubblicazione del padre edita da Einaudi. In chiusura sarà presentata la rivista letteraria e artistica FuoriAsse (Cooperativa Letteraria, 2021), con l’intervento della direttrice Caterina Arcangelo, in compagnia di Mario Greco, Daniela Marcheschi, Guido Conti, Luisa Marínho Antunes, Alessandro Macis, Elisabetta Randaccio e Patrizia Masala.

Martedì 5 ottobre alle 10 si parte per un viaggio antropologico ideale, alla ricerca delle origini del gioiello della dieta sardo mediterranea: Veronica Matta presenta il volume “Panada on the road” (Ed. Sa Mata. L’albero delle idee, 2019) assieme a Gianni Filippini, Pinhás Ben Abrahamle, Padre Miquel Mascaro’, Don Francisco Juan Salleras, Padre Mario Alonso Aguado.

Alle 17 si terrà la “Festa della Scuola popolare di poesia di Is Mirrionis”, accogliendo come ospite Vito Minoia, presidente del coordinamento nazionale “Teatro in carcere”, che dialogherà con Gianni Mascia

Quindi Walter Falgio, Anna Cristina Serra, Gianni Mascia ricorderanno la figura di Benvenuto Lobina attraverso la presentazione del suo “Po cantu Biddanoa” (Illisso, 2004). 

Chiusura di serata con Poetry Blues and roll, una narrazione poetica che si nutre delle suggestioni del blues e del rock, a cura di Gianni Mascia, Paolo Demontis e Salvatore Amara.

La manifestazione si conclude mercoledì 6 ottobre con un appuntamento tutto pomeridiano dedicato alla letteratura in Sardegna.

Alle 16.30 Giovanni Follesa e Rossana Copez presentano il libro “Cent’anni fa arrivò Lawrence” (Il Maestrale, 2021), assieme a Paolo Lusci.

Alle 17.15 Angelica Grivel Serra propone “L’estate della mia rivoluzione” in compagnia di Manuela Ennas e, alle 18.30, Tonino Cau illustra la sua ultima fatica poetica “Berlinguer. Un’Omine una vida” intervistato da Salvatore Taras, con la partecipazione straordinaria dei Tenores di Neoneli.

In conclusione di serata sarà conferito il Premio Lussu alla Carriera al fumettista, vignettista e regista italiano Sergio Staino

Nel rispetto delle norme di contenimento del Covid-19, l’ingresso libero e gratuito è consentito ai partecipanti fino ad esaurimento posti e solo se muniti di green pass.

sito http://www.festivalpremioemiliolussu.org

Alghero | Tavola rotonda sul pane simbolo di identità, coesione sociale e opportunità per il territorio

Alghero | Oggi ospito nel mio blog un testo scritto da un amico sulla tavola rotonda “Pan Mediterraneo. Economia, sostenibilità, cultura tenutasi giovedì scorso organizzata dall’AES negli spazi dell’Ex mercato civico di Alghero, durante il festival letterario “Mediterranea. Culture, scambi, passaggi” in cui si sono confrontati numerosi esperti per riscoprire il valore del pane, “simbolo di identità, coesione sociale e opportunità per il territorio che ha permesso di riscoprire quelle produzioni dotate di particolari caratteristiche a livello nutrizionale, salutistico e culturale. Produzioni che possono rappresentare un motivo di crescita economica con una ripercussione positiva sui territori.

L’incontro, introdotto dalla presidente AES Simonetta Castia e moderato da Marco Zapparoli, editore di Marcos&Marcos in rappresentanza di Letteratura Rinnovabile, ha preso il via con l’analisi di quattro concetti paradigmatici come “valore, scambio, terra e mappa”.


©️salvatoretaras

Nel primo intervento di Massimiliano Lepratti, coordinatore e ricercatore nel campo della transizione ecologica dell’economia per l’Associazione Economia e sostenibilità, è emerso il significato di valore come atto di trasformazione di ciò che offre la natura. È sostanzialmente il valore del lavoro, che trova nello scambio reciproco il senso più immediato della costruzione di rapporti economici, creando relazioni utili nel rispondere a determinati bisogni individuali e sociali.

Andrea Calori, esperto in politiche territoriali, di sviluppo locale e di cicli alimentari sostenibili per Esta, ha messo in evidenza come la produzione di valore rappresenti sempre più il distacco dalla natura e dalla terra, e come sia sempre più connessa a elementi immateriali. Di rimando, il mondo rurale è stato sempre più accostato ad antitesi del progresso. Per ripensare i valori di questo rapporto, il pane può essere un ottimo punto di partenza al fine di ribaltare le regole sociali e costruire nuove relazioni tra economia ed ecologia.

©️salvatoretaras

Ma se l’essere umano è sempre più inserito al di fuori dal mondo naturale, è anche vero che il nostro cervello è progettato per vivere in quel contesto. Pier Andrea Serra, prorettore dell’Uniss, medico, farmacologo, tossicologo e coordinatore del corso di Studi in Scienze dell’alimentazione, ha spostato l’attenzione sugli aspetti biologici che caratterizzano il rapporto dell’uomo con il cibo. Un rapporto sempre più esposto all’elemento velocità, mentre occorrerebbe riscoprire e promuovere il valore della lentezza. Così come lenta è la lievitazione del pane fermentato con pasta madre.

Un pane che ha anche un forte valore culturale e antropologico. Alessandra Guigoni, dottore di ricerca specializzata in storia e cultura del cibo, in collegamento video ha ripercorso la storia del rapporto dell’uomo con questo alimento fondamentale, sperimentato in forme primordiali ben prima della scoperta dell’agricoltura. Per quanto riguarda i lieviti, fino a circa un secolo fa erano tramandati attraverso pratiche empiriche, con un’attribuzione di valore quasi sacro se non magico. Solo nell’ottocento gli scienziati hanno iniziato a capire gli effetti di questi microrganismi, facendo perdere un po’ di sacralità alle fasi di produzione di questo alimento. Bisogna quindi tornare alla centralità del pane perché è simbolo d’identità e coesione sociale.

A illustrare le varie declinazioni salutistiche e nutrizionali dei prodotti a lievito madre, è stato l’intervento conclusivo di Giovanni Antonio Farris, già ordinario di Microbiologia Agroalimentare dell’Università di Sassari e autore di numerosi libri a tema. Non è una moda, ha spiegato l’accademico, ma una necessità. 

La fermentazione acida rende il pane molto più nutriente e fa bene alla salute: un insieme di microrganismi, tra lieviti e batteri, concorre a trasformare le grosse molecole e le proteine presenti all’interno della farina, rendendole più digeribili. Tra queste c’è anche il glutine, alla base delle problematiche legate alla celiachia.

Sotto l’aspetto economico, l’utilizzo di semole di grano duro incentiverebbe la coltivazione di questo cereale, che in Sardegna ha visto un calo dai 100mila ettari di fine anni Novanta agli attuali 25mila. Ma il pane a lievito madre è soprattutto buono. Per scoprirne le caratteristiche di fragranza, aroma e consistenza, a fine serata è stata offerta una minidegustazione a cura del panificio Cherchi, affiancata all’assaggio dell’olio, altro ottimo prodotto doc del territorio.  Lo stesso panificio ha presentato un’esposizione di pani tipici di Alghero

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